In questo articolo Oscar, nostro amico, collega e accanito appassionato di viaggi, spiega i principi alla base del sistema sociale degli indigeni australiani, gli Aborigeni, raccontando il mito della creazione e il legame indissolubile che questo popolo ha con la natura.
Una cultura quella aborigena basata sui principi di tolleranza, rispetto per la Terra e cooperazione da cui tutti noi avremmo da imparare per vivere in pace e in maniera più sostenibile.
Il viaggio “into the wild” o la famosa frase che risuona tra i giovani backpacker di tutto il mondo che girovagano per l’Australia, “live the dream”, non possono essere comprese finché non si mette piede in questa terra splendida, dove la diversità della vegetazione e la ricchezza della sua fauna lo rendono un luogo unico al mondo. Terra affascinante, l’Australia, metafora della fuga dalla civiltà, capace di attrarre viaggiatori, filosofi e avventurieri di tutto il mondo!
Ma non è tutto rose e fiori. Questo è il paese anche dei forti contrasti (oltre a quelli bellissimi naturalistici), dove ancora oggi, i primi custodi di questa fertile e magnifica terra vengono tenuti ai margini della “nostra civiltà”. Nel mio viaggio fatto in Australia nel 2013 non mancò la sensazione di sconforto nel vedere intere famiglie vivere per strada, elemosinando o tenendo in mano qualche bottiglia di vino (l’alcolismo è uno dei problemi più gravi tra gli aborigeni australiani).
Ma questo articolo non vuole essere un capo d’accusa nei confronti di una nazione intera, ma semmai un elogio alla propria terra e ai primi abitanti che hanno vissuto tra foreste vergini e aridi deserti cosparsi per tutto il suolo australiano.
Voglio dedicare questo articolo a loro, a quella cultura che in quelle terre selvagge ed impervie, tanto ricercate dai viaggiatori di tutto il mondo, ci ha vissuto per più di 50.000 anni: gli ABORIGENI.
Quando il sogno diventa realtà: il dreamtime
La parola “aborigeno” (dal latino ab origine, fin dalle origini) in uso in inglese fin dal XVIII secolo, col significato di “indigeno”, è stata presa presto come nome per generalizzare un’intera cultura, a volte anche in maniera superficiale e discriminatoria.
I nativi australiani sono stati per tutta la loro storia un popolo di cacciatori-raccoglitori semi nomade, con una ricca cultura orale e dei valori spirituali centrati su un rapporto trascendentale con la terra e sulla fede nel “sogno”. Quest’ultimo verbo non è da intendersi come fenomeno della psiche legato al sonno, come tutti potrete aver immaginato, ma di una dimensione a-temporale tra creare e cantare.
Nonostante gli oltre 400 distinti gruppi che compongono questa variopinta cultura, tutti i popoli aborigeni hanno alla base la credenza nel dreamtime o tjukurpa, il tempo del sogno. Con questo termine gli aborigeni intendono sia il “tempo prima del tempo”, dove la terra era ancora un luogo piatto, vuoto, dove non esistevano neanche le stelle, e sia il “tempo della creazione”, momento in cui gli antenati crearono le bellezze di questa terra.
Per chi non fosse stato mai in Australia, avrete sicuramente sentito parlare del monolito più grande del mondo, una mega roccia di 9 kilometri di circonferenza: Ayers Rock. Nella tradizione sacra degli Anangu questo luogo viene chimato Uluru, e sarebbe la dimora sacra del mito della creazione.
Il mito della creazione secondo le tribù dell’australia centrale: gli Aranda
Secondo la ricchissima e variopinta mitologia aborigena degli Aranda all’inizio dei tempi la terra appariva come una pianura desolata e informe. Soltanto al di sotto della superficie terrestre la vita pulsava nella sua pienezza, sotto forma di esseri soprannaturali e increati, che esistevano da sempre, ma che stavano dormendo nel loro sonno eterno. Il tempo ebbe inizio quando questi esseri soprannaturali si svegliarono dal loro torpore e eruppero nella superficie terrestre.
La terra fu inondata per la prima volta di luce e alcuni di questi esseri presero forma di animali, venendo ad assomigliare a canguri, emù, dingo e simili; altri emersero con fattezze umane, somigliando a uomini e donne. Emersi dai loro giacigli eterni, questi esseri soprannaturali, comunemente chiamati “antenati totoemici” cominciarono a girovagare sulla superficie terrestre.
Le loro azioni e i loro vagabondaggi diedero vita a tutte le caratteristiche fisiche del paesaggio dell’Australia centrale. Montagne, dune, sorgenti e pianure furono opere del passaggio dei kundingas, che mentre percorrevano il paese avevano lasciato dietro di sè una scia di parole e note musicali. Successivamente alcuni antenati presero la via del cielo, dando vita a stelle e galassie, altri invece si addormentarono all’interno di alberi o rocce, lasciando il ricordo del “sogno” nelle menti dei loro figli, gli aborigeni.
Tutto il suolo Australiano viene interpretato dagli aborigeni come un labirinto di percorsi e impronte visibile solo ai loro occhi. Questi segni, invisibili per l’uomo bianco, sarebbero le tracce lasciate dagli antenati totemici nel tjukurpa. Gli aborigeni, nel ripercorrere le tjurna djugurba (le orme degli esseri mitici), cioè le antiche vie dei canti, ripetono le parole e i suoni degli antenati che nei loro lunghi ed estenuanti viaggi attraverso una terra priva di vita e forma, facevano esistere il mondo cantandolo. Così ogni roccia, sorgente o macchia di vegetazione, rappresenta una traccia di “vita” lungo tutto il paesaggio che essi stessi avevano plasmato.
Il rito di passaggio del walkabout
Per ogni individuo che osservi il codice tribale aborigeno, in fase adolescenziale arriva il momento di partire, lasciare la propria famiglia e il proprio gruppo per iniziare un lungo viaggio tra le vie dei canti.
Potrebbe essere paragonato al nostro “anno sabbatico” in cui i giovani titubanti sul da farsi della loro vita partono alla ricerca di se stessi. Nella cultura aborigena però, questo viaggio rituale che ricalca le vie degli antenati totemici, serve per ritualizzare e riaffermare la continuità del clan o della tribù, e ristabilire una connessione con l’ordine naturale delle cose e i padri che lo crearono.
Il rito di passaggio del walkabout, nome datogli dai coloni bianchi che vedevano sparire gli aborigeni dai campi di lavoro, è il momento in cui viene ribadita la propria interdipendenza con la natura, un rito che mette in evidenza il rapporto sacro che c’è tra l’uomo aborigeno e la natura, fatti della stessa sostanza.
Una seconda anima
Per la cultura aborigena al momento del concepimento il feto possiede due vite (anime), una mortale datagli dai loro genitori e una immortale ricevuta dagli antenati totemici. Questa seconda anima è entrata in qualche punto definito del paesaggio nel corpo della donna incinta. Non è una cosa semplice da immaginare, ma ogni essere venuto al mondo non è considerato un semplice discendente dall’unione di due genitori, bensì parte di un essere ultraterreno che è ritornato in vita.
Il verificarsi dei primi attacchi di nausea, i primi dolori della gravidanza, le prime visioni in sogno del bambino, erano tutte esperienze che confermavano l’entrata nel grembo di quella piccolissima parte della vita infinita di un antenato totemico. E il luogo in cui la madre aveva avuto il suo primo attacco di nausea o i primi dolori era il pmara knanintja, il “luogo del concepimento” dove l’antenato totemico aveva deciso di reincarnarsi.
La creatura risultante dall’unione fisica di due genitori, non riceveva solo la sua seconda anima da un essere soprannaturale, ma acquistava anche le caratteristiche fisiche e l’intera personalità di quello. Così che gli aborigeni credevano che tutti gli uomini fossero stati ricreati ad immagine e somiglianza degli antenati totemici che si erano reincarnati in loro.
Per allontanarci da questo visione astratta e di difficile comprensione per il pensiero scientifico occidentale e capire cosa volesse dire questa seconda anima, vi farò un esempio. Quando nel presentarsi, un aborigeno si definisce un uomo-canguro, non vuol dire che egli è un canguro, ma che a partire da una traccia di vita lasciata da un essere soprannaturale dal cui corpo anche i canguri, all’inizio dei tempi, si erano originati. Così gli esseri umani erano uniti agli animali, ma anche alle piante e fenomeni naturali, solo per il tramite degli esseri soprannaturali, che avevano dato vita ad entrambi.
Foto Copyright : © Twentieth Century Fox movie Australia
Un doveroso ritorno alle (ab)origini
Con l’arrivo del celebre navigatore inglese James Cook nel 1770 sul suolo Australiano, e la conseguente proclamazione di annessione al Regno Unito di gran parte della costa orientale, il nuovo continente veniva poco a poco strappato senza pietà ai suoi abitanti originari. Con il passare dei secoli, questa terra amata e venerata dagli aborigeni, veniva per la prima volta sottoposta ad un inesorabile sfruttamento materialistico per soddisfare l’avidità dei suoi nuovi abitanti “civilizzati”.
Nelle prime ondate di conquista molti dei luoghi sacri per gli aborigeni vennero saccheggiati e violati, e molti degli abitanti dalla “pelle nera” vennero costretti a lavorare nei campi, sfruttati e privati del loro scopo di vita. Popoli spesso definiti in maniera dispregiativa come “primitivi” o “selvaggi” che avevano imparato dal loro rapporto sacro con la natura che la società non doveva essere centrata sull’uomo ma piuttosto focalizzata su di una relazione cosmica con la natura.
Al contrario, la nostra “società moderna” nei secoli ha declinato la sua hibris sull’accumulo di beni e una continua fiducia nel progresso materiale in ogni campo. Così dietro quel luccichio di felicità dato da conquiste umane e scoperte scientifiche si nasconde il timore che la terra su cui l’uomo vive, possa un giorno, alla semplice pressione di un bottone per opera di qualche folle, dissolversi in un’esplosione.
Un modello culturale da imitare per ritrovare il legame perduto con la natura
In un mondo dove la natura è stata per gran parte della storia relegata a scopi utilitaristici e agli interessi di qualche nazione, credo che “l’uomo civilizzato” debba cominciare a guardare a quelle culture antichissime per provare a migliorare le sue prospettive future, adottando magari alcuni dei concetti di tolleranza, rispetto per la natura e cooperazione su cui gli aborigeni hanno basato il loro sistema sociale.
I popoli vanno e vengono ma la Terra, e le storie su di essa, rimangono. Allora la saggezza è saper ascoltare e osservare queste culture, dove esiste una profonda comprensione con la natura e dove l’ambiente e i luoghi possiedono dei sentimenti al pari dell’uomo. Sentimenti sottili, che risuonano attraverso i corpi e le tradizioni di questi popoli, che ci insegnano con una storia millenaria che si può vivere in un rapporto di armonia e rispetto con la natura.
Se riuscissimo a comprendere e mettere in pratica anche solo una piccola parte di quella relazione amorosa con cui gli aborigeni si approcciano alla natura, beh, allora potremo dire di essere ritornati alle origini…
Buongiorno
Sono attratto dalla visione olistica degli Aborigeni, per il poco che ne so.
Vorrei poter approfondì questa mia limitata conoscenza
Grazie
Bellissimo, grazie di queste parole.
Grazie 🙂